La “tazzulella”, il fiore all’occhiello di Napoli e simbolo del nostro paese, è sempre più bistrattata. L’offerta di un ottimo caffè espresso non è più al centro dell’attenzione del barista. Ecco perché aumenta il numero di prodotti mediocri, spesso accompagnati da un servizio altrettanto scadente.

Noi di Vecchia Maremma che facciamo dell’ospitalità e del gusto della tradizione italiana e Toscana la nostra missione, oggi facciamo il punto della situazione proprio su questa amata bevanda.

Uno strano paradosso

Lo sanno tutti. Quanto più cresce la conoscenza di un prodotto nel consumatore, tanto più quest’ultimo diviene esigente e di conseguenza i produttori e gli operatori della filiera saranno stimolati a fare meglio. Questo è già accaduto con i prodotti italiani più tipici come vino e olio extravergine, ma paradossalmente per quanto riguarda la pregiata tazzina la situazione è completamente differente.

Il numero di caffè mediocri che vengono serviti ogni giorno a milioni di consumatori è in aumento. Ma perché? Il problema è a monte, dipende da fattori culturali, ovvero nella formazione della figura del barista. Questo mestiere purtroppo sembra essere sempre più appannaggio di persone improvvisate che non hanno alcuna esperienza alla spalle e che ritengono l’apertura di un bar un’operazione vincente per il solo fatto di poter affiancare a questa attività ogni genere di servizio, dalle ricariche telefoniche ai pagamenti delle bollette e, specie nelle aree urbane, di incentrare il proprio business sempre più sulla pausa pranzo che sulla pausa caffèL’offerta di un espresso di qualità quindi sta sempre di più perdendo di importanza, ormai è una vera e propria eccezione.

Un retrogusto amaro

La stragrande maggioranza degli operatori del settore non conosce nemmeno la composizione della miscela, anche perché l’acquisto spesso è vincolato non dalle caratteristiche del prodotto, ma dagli incentivi e dai finanziamenti che i baristi ricevono dai torrefattori in cambio di contratti d’acquisto della propria miscela, spesso di qualità discutibile. Il risultato? Il consumatore nella maggior parte dei casi non sa dire con certezza se l’espresso che beve gli piace o no, ma allo stesso tempo non sa nemmeno indicarne esattamente il motivo. E non è tutto: i due terzi degli italiani non frequentano lo stesso bar e la metà degli abitudinari non ne ricorda neanche la marca.

Non chiamatelo caffè!

La cosa più paradossale è che in fatto di consumi caffè ci battono solo i tedeschi, con una media di 5 tazzine al giorno a testa. Anche negli Stati Uniti sono assidui consumatori di questo prodotto, ma anziché la classica “tazzulella”, bevono in media 3,2 tazze di caffè extralungo che nulla ha a che vedere con il nostro espresso. In Italia il caffè è una passione di massa con un consumo giornaliero di circa 70 milioni di tazzine, in media 3 al giorno a testa. Il rischio è che nel tempo il consumatore si abitui a bere caffè di cattiva qualità.

Le grandi catene italiane ad imitazione della formula americana Starbucks, cercano di sopperire alla mediocrità della classica tazzina con nuove ed originali varianti. Spazio allora ai cosiddetti caffè “Speciali”, speziati e aromatizzati, che di speciale hanno ben poco, se non la capacità di coprire lo scarso sapore e di ampliare il target della clientela e quindi gli incassi. Dietro il rito del caffè si è ormai consolidato un business di cattivo gusto!

Alla ricerca del caffè perfetto!

Ma che caratteristiche deve avere un buon espresso? Come riconoscerlo?

Secondo gli esperti “si presenta alla vista con una crema di colore nocciola, tendente al testa di moro e distinta da riflessi fulvi con una tessitura finissima, senza bolle più o meno grandi. All’olfatto avrà un profumo intenso e persistente, al gusto l’acido e l’amaro risulteranno in equilibrio senza che vi sia prevalenza dell’uno sull’altro”.

 

La speranza è di poter raccontare tra qualche tempo un’altra storia, nel frattempo vi aspettiamo qui in Maremma per un buon caffè!